Ricordare è una espressione di umanità, ricordare è segno di civiltà, ricordare è condizione per un futuro migliore di pace e di fraternità, ricordare è anche stare attenti perché queste cose possono succedere un'altra volta, incominciando dalle proposte ideologiche che vogliono salvare un popolo e finendo a distruggere un popolo e l'umanità. State attenti a come è incominciata questa strada di morte, di sterminio, di brutalità
La grande varietà gastronomica locale non è racchiudibile in un unico piatto ma sono tante esperienze da gustare
Ogni famiglia aveva delle mucche, chi poche e chi tante. In estate, quando la scuola era chiusa, io, Sandra, Carmen e Maria andavamo da sole sino al Monte Chierico per fare la cèra. Partivamo con il buio e tornavamo la sera; si caricava più cèra possibile, il “fasì” o la “freschira” che poi sistemavamo sulla testa. Il sabato salivano anche le mamme per recuperare la cèra che non riuscivamo a portare giù. Lungo il tragitto c’erano le “pòse” dove appoggiavamo la freschira per riposare schiena e spalle. Dove non c’erano spazi adatti questi venivano fatti spianando la terra e aggiungendo sassi.
Un altro lavoro di noi donne, oltre alle patate, era la raccolta delle foglie con il “campacc” per fare il letto alle mucche. Andavo sino a Milano con le mucche, impiegavamo 4-5 giorni e dormivamo lungo la strada dove c’erano le “fermate delle mucche”. Anche la legna era un lavoro lasciato alle donne. Si portava a casa con il “campacc”. Una volta, arrivata in paese, ho pesato il mio carico: più di 90 kg!
PASQUA ROSSI “Magnanì” (19 aprile 1929)
La raccolta della cèra, il fieno magro, era importante perché ti permetteva di tenere una mucca in più, visto che non avevamo la possibilità di comprare il fieno. Si andava in alto, sul “Mut Ciarec” (Monte Chierico), allo “Spundù”, al “Col de le genestre” con gli zoccoli chiodati, ma spesso andavamo scalze. Per pranzo portavamo la “masola” con dentro polenta fredda e se c’era il pane. Per tagliare l’erba usavamo il “ranszet” e avevamo sempre la “prida”, la pietra per affilare le lame. Andavo sempre con la mia amica Pasqua, meglio conosciuta come “Magnanì”.
VANINI ALESSANDRA “Sandra” (26 novembre 1928)
Le patate le coltivo forse per la passione che io ho ancora; non è per tornare indietro nel tempo, ma mi è rimasto l’insegnamento che mi hanno dato i miei genitori. Quindi, quando si fa questo lavoro qui di piantare, non si pensa a niente e poi è bello, distensivo coltivarle, vedere la natura cosa ci dà e questo lo sto trasmettendo insieme a mio marito, ai miei nipoti, che aspettano con ansia il raccolto perché loro a vedere muovere la terra e veder saltare fuori le patate, sono felicissimi.
DOMENICA classe 1950
"La patata è sotto terra e non si vede, poi quando la tiri fuori prende pregio, ma chi la tira fuori? Non il ricco, è il povero! Ed è il povero che gli da la lode, pregio, perché ha fatto fatica. Ecco perché gli da il pregio, perché ha fatto fatica a coltivarla!”
Angelo Classe 1938
"In tempo di guerra, se non c’erano le patate a sfamare tutti, forse non tutti, ma quasi tutti, a sfamare le famiglie con 7 – 8 bambini. La patata la seguiva solo la donna, non gli uomini, non riesco a capire la forza che avevano: vangavano, piantavano, zappavano le patate, colmavano la terra e poi le lasciavano li, il concime lo mettevano prima. Questo posto qui prima non c’era, la strada non c’era, era quasi tutto un campo di patate, facevamo campi di patate, si immagini lei un po’. Il cimitero era più piccolo, la strada non c’era, era tutto un campo, non intero, ma tanti pezzi. Le raccoglievamo non prima di ottobre, quasi verso la metà, prima mai."
Cesarina Classe 1945 Residente a Carona
Costruita la strada Branzi- Carona, una contadina di Porta si era recata, per la prima volta, a Lenna per la festa di S. Lucia. Al ritorno tutta contenta ed entusiasta del viaggio, ebbe a dire: “Come è grande il mondo. Sono arrivata fino a Lenna e c’era ancora strada che passava giù”.
“Carona... e un po’ della sua storia” FRANCO BIANCHI, 1985
Alla festa si andava nei bar con gli amici e un buon calice di vino. Per le donne invece era uno scandalo se andavano al bar! A Carona c’erano anche due sale da ballo; una a Porta e una a Fiumenero. Ovviamente anche le femmine andavano a ballare, ma dovevano chiedere scusa al parroco altrimenti non avrebbe benedetto le loro case nel giorno di Pasqua.
BENITO RICEPUTI “Nito” classe 1927